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Evento (Spettacoli) inserito in archivio il giorno 05/05/2015

Il cantautore ANTONIO PIGNATIELLO, da venerdì 8 maggio, presenta live il suo nuovo album "A SUD DI NESSUN NORD"

 

immagine in primo piano

ANTONIO PIGNATIELLO
DA VENERDÌ 8 MAGGIO
PRESENTA LIVE IL SUO NUOVO ALBUM
"A SUD DI NESSUN NORD"


Da venerdì 8 maggio, il cantautore irpino ANTONIO PIGNATIELLO presenterà live il suo nuovo album "A SUD DI NESSUN NORD" (Controrecords - GoodFellas/Artist First), disponibile nei negozi tradizionali, in digital download e sulle piattaforme streaming, e anticipato in radio dal singolo "Lontano da qui" (visibile al link https://youtu.be/i8g-5zhovpo).

Queste le prime date confermate:
venerdì 8 maggio al Circolo Aurora di Ravenna (in trio)
il 14 maggio al Teatro Arciliuto di Roma (in quintetto)
il 20 maggio al Làbas di Bologna
il 28 maggio al Circolo Arci Klamm di Roma (set acustico), con la partecipazione speciale Vincenzo Costantino Chinaski.

L'album "A Sud di nessun Nord", registrato "on the road" in uno studio mobile durante un viaggio lungo la penisola, omaggia l'omonima opera di Henry Charles Bukowski. Il disco contiene 12 brani, scritti dallo stesso Antonio Pignatiello, che hanno come filo conduttore il tema del viaggio e dell'incontro. Un album fatto di musica sotto forma di poesia, di immagini, voci, storie e ricordi, in cui le canzoni abbracciano tutti senza appartenere a nessuno.

"A Sud di nessun Nord", prodotto in collaborazione con il musicista Giuliano Valori (amico fraterno a cui il disco è dedicato) e realizzato grazie all'assistenza di Simone Fiaccavento, è stato mixato da Taketo Gohara (produttore e ingegnere del suono di Vinicio Capossela) e vede la partecipazione di Marino Severini (Gang), Enza Pagliara, Giovanni Versari e di molti altri musicisti nazionali e internazionali.

«Questo disco è una sorta di orchestra tascabile: canzoni affollate di voci perdute, fatte ora di un mare in tempesta, ora di un lamento, ora di un canto antico, ora di trombe mariachi e serenate lontane - racconta Antonio Pignatiello. Sono storie che pur compagne all'oggi vivono senza tempo, perché senza tempo sono le circostanze e i destini degli uomini. Questo album nasce dai volti e dalle storie di persone incontrate sulla strada. Ogni incontro ha donato meraviglia al canto. Le storie si sono intrecciate in un divenire continuo. I luoghi, poi, hanno spinto la memoria oltre il ricordo. E' fiorito così quel suono cercato, "Con pieno spargimento di cuore", per meglio condividere la vita».

Antonio Pignatiello ama definirsi "scrittore ed eclettico cantastorie notturno dei viaggiatori in cerca di fortuna". Nasce in Irpinia nel 1981 per poi trasferirsi prima a Bologna e poi a Roma, dove tuttora vive e lavora. Laureato al D.A.M.S. di Roma collabora con giornali e tv nazionali e locali e cura la regia di vari videoclip e cortometraggi. Nel 2009 torna ad occuparsi di musica e poesia collaborando con il Maestro del free jazz Pasquale Innarella e con il pianista Giuliano Valori. Nell'agosto dello stesso anno si aggiudica il premio Miglior brano inedito al Solarolo Festival di Ravenna con il brano "Folle".

PRESENTAZIONE ALBUM
Si ricomincia da qui, da questo lembo di terra in cui sono cresciuto. Un piccolo paese, dove si parla un dialetto di frontiera per storia e geografia, che ti fa sentire differente dal resto del mondo, eppure così vicino a luoghi come il Mexico, il Texas, l'isola di Cuba, il Cile e l'Argentina: "orizzonti lontani" fatti di musiche e sapori che musicisti e bandisti del novecento, partiti per le Americhe, hanno poi riportato indietro verso il Mediterraneo. E da lì, da quel mare, sono risaliti echi di trombe e tamburi, per cambiare durante il viaggio, stretti dall'abbraccio dei monti.
Incanti di stagioni addormentate. Passaggi di tempo. Mutato il paesaggio ad ogni volgere di stelle. La vita si condensa in basso, l'inverno rende chiare le valli, i dirupi e le distanze. Riannodo pensieri e scoperte. Nato da un fiato di vento, ritrovo il mio legame antico con quella terra. Ah, l'Irpinia! Isola Solitaria. Sta all'interno di un piccolo continente: è la west Irpinia dal dialetto bastardo che ti si attacca addosso come una camicia umida, è l'Irpinia delle sue canzoni - di emigranti che se riescono fanno ritorno, lungo i vicoli e le strade che il vento scava e la neve nasconde. E' la voglia di restare e quella di fuggire, è un'amante asciutta che ti cerca e ti incanta, ma poi non si concede. La si ama controvento, con un amore inetto e un desiderio diviso, che ti obbliga a tradirla e maledirla per sopravvivere e ritornare da lei ancora una volta. Le sue strade sono una smisurata prima volta, i primi amici, le prime musiche, il primo vino, il primo vinile, la prima Itaca che ti invita al viaggio: partire per conoscere il mondo e forse anche per farci ritorno. Un' Itaca che al suo interno conserva il ricordo di compagni che se ne sono andati troppo presto, ma anche volti che da lontano ti vedono invecchiare, e sono volti solcati da rughe che sembrano sorrisi e che raccontano storie.
Nel lavoro precedente c'era l'immagine della stazione di Rocchetta S. Antonio - Lacedonia: una delle tante stazioni chiuse lungo la linea ferroviaria Avellino - Rocchetta; in questo secondo album c'è il viaggio e l'incontro fatto di terra e di mare.
L'idea nacque una sera del 2013, bevendo vino a Roma fino alle quattro del mattino. Giuliano e io avevamo voglia di andare oltre gli studi di registrazione. Così un giorno siamo partiti per il Sud, affidandoci all'imprevedibilità del caso e della vita.
La geografia diventa nutrimento, l'orizzonte si scopre nuovo ad ogni passo. Perdersi per ritrovarsi in un continuo movimento, senza guide, solo coincidenze ed emozioni, che per essere raccontate devono divenire sentimento e ricordo. Ne nasce un attimo d'incanto.
C'è voluto il viaggio, l'incontro e il ritiro: un anno di lavorazione per raccogliere parole, storie, canzoni e musiche fatte della stessa sostanza dei sogni.
Viaggiamo per mari e monti, lande e città, giriamo quasi tutta la penisola. Ad accompagnarci un piccolo studio mobile, lo usiamo per registrare in "cucine e salotti di campagna", in un castello, in cantine...poi altri binari hanno accompagnato altre voci per arrivare fino "Al confine del bosco" in Piemonte. Ogni volto incontrato ha donato meraviglia al canto. I luoghi, poi, hanno spinto la memoria oltre il ricordo. E' fiorito così quel suono cercato, "Con pieno spargimento di cuore", per meglio condividere la vita.
Ci ritroviamo a Roma il 27 luglio, tramonto urbano, pochi passi, baluginano gli occhi. Le registrazioni finite. Il lavoro lo lasciamo nelle mani del mago dei suoni Taketo per essere mixato. Le stelle seguono il loro corso, le canzoni pure, noi torniamo a casa.
Accompagno Giuliano, due parole, un abbraccio fraterno: due uomini profondamente innamorati della vita.
"Stammi bene e chiamami quando arrivi a Lacedonia, stammi bene anche tu, ciao, ciao".
Chiudo gli occhi, cedo al sentimento che si fa prima ricordo, poi parola scritta, frammento d'inchiostro e storia. La nostra.
Giuliano si incamminò a passi lenti, si fermò a salutare un gatto che vagabondava da quelle parti, poi si allontanò sempre di più. Il portone nascose la sua figura agli occhi... finché non restò altro che il suo ricordo inossidabile e il suo pianoforte, radicati per sempre nel cuore della mia memoria.
A Sud Di Nessun Nord è anche questo: la storia di un'amicizia fraterna, di incontri con tanti musicisti che hanno preso parte al viaggio, a questo viaggio che non è solo il nostro, ma è di tutti voi, perché è questa la cosa più bella per una canzone, abbracciare tutti senza appartenere a nessuno.
Antonio Pignatiello

SCHEDA DISCO
"A SUD DI NESSUN NORD"

(Antonio Pignatiello)

1) VECCHI CONTI (a Paolo Conte)
Osservare, ascoltare per raccontare. Fiorisce una canzone.
Sera d'autunno, Milano. Gli amici da cui sono ospite mi guidano in un'antica trattoria. Il caso ci accompagna vicino ad una coppia di anziani sulla settantina. Finiamo per unire i tavoli. Lui è un vecchio professore di filosofia nato ad Asti, poi trasferitosi a Milano all'età di sei anni e adesso in pensione. Lei è una pittrice francese dal forte accento americano. Ha vissuto prima a San Francisco, poi dai dieci ai vent'anni a Milano, successivamente a Los Angeles. E dopo una breve parentesi a Londra, dove ha conosciuto il suo attuale marito, è tornata a vivere in Italia. Mi parlano della Milano della loro infanzia, gli anni cinquanta, i quaranta. Il passato per un attimo si fa presente nei loro occhi, le parole nutrimento per il mio cuore e le mie orecchie.
Raccontano il loro amore per la musica classica, il jazz... e per il maestro Paolo Conte. Fino a qualche anno fa non si perdevano neppure un suo concerto. Ascolto in silenzio, tra un bicchiere di rosso e un altro a venire.
Lo rivedremo a Paris, dice lei, una buona scusa per viaggiare.
Un buon modo per vivere.
Si voltò a guardare suo marito, che gli stava accanto, silenzioso, e sfiorandogli il braccio disse, come se non l'avesse mai pensato, come se l'avesse appena scoperto: "Com'è corta la vita".

2) CANTO DEL RINCHIUSO
Irpinia. Terra di confine, terra di frontiera.
Arriva l'inverno, la neve vela lo sguardo nell'attesa. La casa invita alla lettura, alla scrittura, si apre al canto. La memoria si accende di ricordi e amici, viaggi e incontri. Clamori in cadenza, parole in sequenza. La geografia ridefinisce la storia. La nostra.
Nuovi incontri ridisegnano percorsi, tessono storie che si aprono al futuro.

3) LONTANO DA QUI (musica ispirata alla tradizione cilena e messicana)
Parto per il Sud, mi fermo a Napoli. Mi ubriaco del suono delle sue mille voci, della sua lingua, una tra le più suggestive al mondo. Scendo a Castel dell'Ovo. Si rallegrano gli occhi di fronte a quel castello e a quel mare. Ovunque c'è qualcosa da guardare, da scoprire.
Lontano da qui scivolano i tuoi occhi neri.
Riannodo pensieri e parole.
Un marinaio col viso da Pulcinella si avvicinò, offrendomi una sigaretta e un biglietto della lotteria. Ne chiesi uno che contenesse il nove. Sa, dissi, il nove è il mio giorno e il mio mese. Sono nato quando la luna si fa lunatica e i venti non riposano.
E' un giorno fortunato, disse Pulcinella, vedrà che avrà buona la sorte. E' proprio quello che mi serve, sa, dissi acquistando il biglietto.
Guardi la luna, disse ancora Pulcinella, è la stessa che guardavo il giorno in cui mi sono sposato. Poi la vita mi ha portato altrove. Lei è rimasta a Santiago, lontana...lontana da qui.
Restai in silenzio, con la sigaretta che pendeva dalle labbra.
Le auguro buona fortuna, soggiunse, vedrà che a lei andrà meglio. Poi così com'era venuto, scomparve, avvolto da un alone bianco di nebbia.
Affiorano orizzonti lontani, musiche arrivate dal Cile e dal Mexico: trombe mariachi e chitarre di frontiera sbarcate al porto di Napoli e dirette verso paesaggi incantati che diventano parte integrante della terra dell'osso. Arriva dicembre e...
Cadeva la prima neve dal cielo,
e tu sorridevi un sorriso lontano...
tu sorridevi un sorriso lontano...

4) CANTICO DI ORFEO (ispirato alla rilettura del mito di Orfeo di Cesare Pavese "Dialoghi con Leucò")
Orfeo incantava con la sua lira e il suo canto persino gli dèi.
Si esce per strada e si chiude la porta.
E quando ci si volta indietro a guardare quel che si è fatto con la vita è ormai troppo tardi.
Ho avvicinato la faccia al vetro della finestra, e mi sono visto seduto a bere, a scrivere.
Ripenso una stagione, un volto, un altro posto, le persone che amavo.
Con me un taccuino, una borsa, e un libro. Parole venute e a venire.
Mi sono ritrovato sul porto di Genova, sotto la pioggia.
Mi sentivo bene, anche se ho percepito un'ondata di dolore attraversarmi la schiena.
Anche se ho commesso molti errori lungo la strada.
Ho riaperto gli occhi, e mi sono messo in cammino.
« L'Euridice che ho pianto era una stagione della vita. Io cercavo ben altro laggiù che il suo amore. Cercavo un passato che Euridice non sa. L'ho capito tra i morti mentre cantavo il mio canto. Ho visto le ombre irrigidirsi e guardar vuoto, i lamenti cessare, Persefòne nascondersi il volto, lo stesso tenebroso-impassibile, Ade, protendersi come un mortale e ascoltare. Ho capito che i morti non sono più nulla ».
Ti voglio dire una cosa, in viaggio ho passato i giorni più felici delle mia vita, ma questo appartiene ad un tempo diverso da quello che ti sto raccontando.
Quella stagione passata può vivere solo nel bagliore d'una luce che si fa ricordo.
I sassi che abbiamo raccolto in spiaggia se ne stanno al loro posto, a casa tua.
La mia voce è gonfia d'aria
e della tua assenza.
Eppure la testa di Orfeo, finita nel fiume, continuerà a cantare.

5) QUANDO NASCESTI TE (feat. Enza Pagliara)
(testo tratto dagli stornelli della tradizione popolare toscana, scoperti grazie a Carlo Monni, poeta e attore, 1943-2013).
L'incontro con le parole di questi stornelli toscani è avvenuto quando nella tessitura della mia vita si è creato un piccolo spazio. Un vuoto.
Solo dopo sono arrivate le musiche, sussurrate, rare. Accade.
Nel cedimento la vita si snoda, si racconta.
Firenze. Il bianco della prima luce penetra oltre le persiane, guardo le lancette dell'orologio che per tutta la notte hanno continuato a battere il tempo, è l'ora che gli spagnoli chiamano madrugada. Una parola che conserva la magia di un preciso istante. E' l'ora in cui l'immaginazione si confonde e si fa vaga, indefinita. Com'è bella la parola "vago", contiene in sé un'idea di movimento e mutevolezza, e al contempo qualcosa di piacevole e attraente.
Affiorano frasi e ombre, antichi versi.
Saranno i fantasmi della città in cui mi trovo che vengono a farmi visita per raccontarmi le loro storie.
"Poi piovve dentro a l'alta fantasia".
Arrivò da lontano, indefinita, la voce del poeta. Poi ne giunse un'altra, e un'altra ancora: parole assiepate, sussurrate. Infine un'altra più vicina divenne canto.
"L'amore è come l'ellera dove s'attacca more...così così il mio core mi s'è attaccato a te...".
Nell'affollamento di suoni e voci perdute, ho ascoltato stornellare Carlo Monni, e mi sono scoperto in piedi, con il cappello in mano, e il cuore in ascolto, a cantarle.
Udii bussare alla porta, rinvenni dal sonno, Isabel entrò per dirmi che il tempo a mia disposizione era scaduto. Spero abbia riposato bene, disse la sua voce dal forte accento fiorentino. Pensa di fermarsi anche stanotte?
No, la ringrazio, è già mezzogiorno. Bisogna che esca a fare quattro passi, devo andare a trovare una voce che mi ha svegliato all'alba.
Isabel mi guardò stupita. Che idea bizzarra! Una voce all'alba! Guardi che questo è un posto silenzioso. E la sua stanza dà su un vecchio giardino abbandonato. La ringraziai. Lei volle accompagnarmi fino alla porta d'ingresso, poi aggiunse: mi scusi se non vengo con lei, l'avrei accompagnato volentieri per le vie di Firenze, ma vedrà che la fermata dell'autobus la troverà facilmente... e chissà che un giorno o l'altro non riesca a trovare anche quelle parole che va cercando.

6) GIU' AL BELLEVILLE
Nutro la mia geografia di assenze e bagliori.
Un camminare incontro al destino e alla vita. Ricordi, fatalità, coincidenze.
Era l'ora della presentazione e della festa al Belleville: un circolo arci di Roma che si ispirava al famoso quartiere parigino.
Era un luogo adatto alla condivisione e agli incontri. Alle canzoni, che "per amarle veramente, bisogna condividerle".
Era un luogo adatto a contenere i cuori solitari e gli amanti che la distanza separa.
Era il ritrovo, la confraternita dell'uva, Giuliano, Vinz, Scaty...il gran sermone degli "amici miei".
E' così che ho conosciuto il poeta e cantautore Franco Fosca, artista di strada, figlio dei fiori. Di origine ligure, amava cantare la vita, la pace, l'amore.
Arrivato a Roma alla fine degli anni settanta, ha continuato a cantare a piazza Navona fino a quando le labbra del tempo gli hanno chiesto il conto.
Come se fosse una festa, ma non lo era. Nella penombra della sala, fiori e stelle filanti, ghirlande di luci, canzoni cedevano agli angoli della bocca, la birra e il vino si spargevano a fiumi e i piedi battevano il tempo al ritmo delle chitarre e dei fiati.
Quando aprii gli occhi era mattina. I superstiti alla notte, sparsi per la sala, russavano in coro, aggrappati ai divani, come si resta aggrappati al bordo di un precipizio.
Chi si svegliò, riuscì a salutare chi se ne andava.
Il poeta se ne andava con la chitarra sulle spalle, l'armonica nel taschino, e una bottiglia di vino tra le braccia, lasciandoci orfani di un altro cuore.
Svanì così, senza preavviso, per quel viaggio senza ritorno.

7) FOLLE (testo ispirato all'Odi et amo di Catullo)
Rientro a casa. Fuori albeggia. E' Roma, c'è posto un po' per tutti nell'affollamento che divide e unisce: seduzione e repulsione. La Lupa e i gemelli, la Repubblica e l'Impero, l'Odi et Amo. Il sonno non arriva. Finisce così tra le mani il Liber di Catullo. Resto tramortito al suono di quelle parole di raffinatezza alessandrina e preziosità formale. Il racconto di una vita e di un amore: Lesbia, criptonimo, omaggio a Saffo, poetessa dell'amore che visse nell'isola di Lesbo.
Avanza un verso che si fa suono. Nasce così questa canzone che ho chiamato "Folle", perché folle è la scintilla che l'ha generata e folle fu l'amore che travolse quei "cuori senza fine".
Il frammento 46 di Anacreonte ha poi offerto lo spunto per spingermi oltre: "Amo e poi non amo. Sono pazzo e non sono pazzo".
Devo molto a questi poeti, e ai loro scritti. Sono preziosi compagni di viaggio quando i tempi si fanno bui. D'altra parte, per usare le parole di Pascoli, la poesia di Catullo "Ha vicino il sorriso alla lacrima e il sogghigno al dolore".
Il testo nasce da qui.
La musica nacque al tramonto su un'altra Isola. Ma questa è un'altra storia che forse un giorno racconterò.

8) BYE BYE (musiche tra New Orleans, Texas e Mexico)
Stiamo risalendo la Puglia diretti a San Severo per registrare le chitarre di Luigi. Qualche chilometro più a Nord c'è Lecce. Giuliano al volante, la radio accesa, Chet Baker al flicorno.
Il paesaggio in pieno agosto è desertico, a tratti ricorda la Sardegna, la Spagna...il Sud America.
Apparve così un'oasi nel deserto, una casa di campagna circondata da orti e frutteti. Avvisato dall'abbaiare dei cani, maremmani bianchi, un signore si affacciò alla porta. Fece cenno di avvicinarci, e ci invitò a bere un bicchiere di vino.
La casa conservava un odore che solo la vita isolata concede. Ai muri erano appesi un calendario, e una fotografia in bianco e nero che ritraeva l'uomo da giovane accanto ad una donna elegante.
Il padrone di casa ci servì del formaggio che aveva preparato lui stesso. Ci chiese se ci piaceva, è davvero ottimo, dissi, e ci versò dell'altro vino.
Viveva con sua moglie, con i suoi cani, le sue pecore e il suo orto. Il suo volto aveva centinaia di solchi, ma conservava un sorriso che pacificava.
Gli raccontammo del viaggio.
Ah, i viaggi! Ne ho fatti tanti. Vedete quella donna appesa al muro? Si chiama Maria, oggi è il suo compleanno. E' di New Orleans, ci siamo conosciuti lì nel 1943.
Esteban era nato a Monterrey, Mexico, nel 1928. Suonava la tromba con un gruppo mariachi, poi scoprì il jazz e decise di spostarsi a New Orleans.
Maria la conobbe in un locale. Lei faceva la cameriera.
Insieme avevano costruito quella casa, avevano avuto figli che ormai vivevano in America e che non vedevano da molti anni.
Mi azzardai a chiedere cosa ci facessero adesso in Puglia.
Il desiderio di viaggiare, disse. Il jazz è especial. Anche le trombe mariachi, amigo. Ti portano verso mondi lontani, ti fanno capire cosa cerchiamo veramente in questa vita. Accese un sigaro, ne offrì uno a me e uno a Giuliano. Si alzò per prendere un vinile di musica mariachi, caricò un vecchio grammofono, e lo fece partire.
Ascoltammo in silenzio. Poi brindammo nuovamente al compleanno di Maria, che apparve all'improvviso con delle focacce calde. Ci guardammo negli occhi con Giuliano, sembrava di essere finiti come per incanto in una vecchia pellicola cinematografica.
Ringraziammo Esteban e Maria per l'ospitalità. Poi facemmo un altro brindisi alla vita, Giuliano prese il cellulare e, prima che potesse comporre il numero, Esteban aggiunse, col suo strano accento misto al pugliese,
"Il telefono è un pensiero, amigo". Sorridemmo. Ci stringemmo la mano. Ci offrì due sigari per il viaggio, e un suo vecchio vinile di musica mariachi che lo ritraeva in posa con tutti gli altri trombettisti.
"Bye Bye"...

9) L'ATTESA (milonga ispirata alla tradizione di Atahualpa Yupanqui)
Si resta fermi, nell'attesa. Da lì s'eleva d'incanto e sorpresa il canto. Lo sguardo racchiude il silenzio, scontorna gli angoli carichi di assenze e promesse.
Tutti desideriamo qualcosa di cui abbiamo solo una vaga conoscenza.
Innamorati di una promessa,
o di un'illusione?
Appuntamenti mancati
treni persi,
la scommessa di un amore.
Restano le voci e le stelle della notte a farci compagnia, come vecchie compagne di viaggio...mentre la radio gracchia e ci finisce dentro la voce di Atahualpa e sa di polvere, storia, e frontiera.
Quando arriva ti colpisce dritta al cuore.
E non puoi fare a meno di finire al tappeto.

10) OCCHI NERI (ispirato ai carmi catulliani)
Prenderò i tuoi Occhi Neri e ne farò canzoni, avrò mille, mille, e ancora altri cento baci da scrivere, e giorni, e case, e stanze in cui far passare solo l'estate. E ancora strade e geografie da camminare, e voglio godermele ancora, fino a quando potrò appuntarmele sulla punta del cuore, e appenderci così tutte le mie scarpe, come si appendono i ricordi.
Andrò così cantando nel vento di dicembre,
e porterò i tuoi Occhi Neri come una ghirlanda.
E adesso lo so dove sono finite le tue parole...
Adesso lo so, ma continuo a cantarle ancora, ad abbracciare l'aria, come se qualcuno potesse rispondermi da un tempo spezzato.
Chi accende le tue labbra e le tue notti?
"...A chi darai le tue parole? A chi le tue carezze?...A chi i tuoi Occhi Neri..."
I tuoi Occhi Neri...
La donna che gestiva l'osteria di Lisbona faceva giochi di magia col tempo, poteva leggerti il futuro nelle mani, ma io ero sulle tracce del passato, tornavo a Sud, e col caldo che faceva mi venne voglia di fare un bagno nell'oceano, ma non era ancora il momento, avevo appena terminato il pranzo. Finii la bottiglia di Castelão, accesi una sigaretta e ordinai un caffè. E con quel caffè arrivò danzando nel suo vestito bianco anche lei e mi disse di tornare indietro, perché il tempo a mia disposizione stava scadendo, e quel tempo che ancora mi legava era un altro, disparito,partito anche lui, andato così, oltreoceano.
E allora perché sei qui?, perché sono ancora qui? Dove ti sei nascosta, Occhi Neri?
Dove sei finita?
Per mare sono stata, e per mare prenderò il largo. T'ho lasciato così...addormentato nei vigneti di quella vecchia osteria. Fumo e vino per ingannarti. Ho provato a prendere tutto quello che avevo con me, per fare in modo che i ricordi non divenissero fantasmi e non tornassero a tormentarti. Ho creduto nella cura del tempo, ma nella fretta cadde dalla borsa una fotografia, ed è quella che ancora ti tormenta. Adesso puoi chiudere gli occhi, bere il caffè, e lasciare quella vecchia fotografia sul tavolo. So che vorresti incontrami ancora, ma è solo attraversando l'isola di Cuba che riuscirai ad incontrarmi ancora una volta, perché, in fondo, quel che vai cercando davvero, non sono io, ma l'idea che hai di me e della vita.

11) TRA GIORNO E NOTTE (feat. Marino Severini-Gang; testo tratto dalla tradizione popolare marchigiana)
Quando guardo il mare, penso ai nostri viaggi. Ricordo strade, persone incontrate, e lune. Stamattina ho trovato gli appunti del concerto che abbiamo fatto il 14 febbraio a Recanati, la città della Poesia. Poche ore per dormire, una visita a casa Leopardi, poi di nuovo in cammino verso altre spiagge.
Passano i giorni, i mesi. Una canzone popolare marchigiana continua a girarmi intorno, ad assalirmi nel sonno. La musica addolcisce i pensieri.
I paesaggi da soli non bastano. Sono gli incontri la cosa più importante.
Se fu la letteratura ad accompagnarmi qui, per restare servono le persone.
Forse è anche per questo che ci mettiamo in viaggio.

12) NON C'E' PIU' (liberamente ispirato al "Mestiere di Vivere", ai "Dialoghi con Leucò", alla poesia "Mattino" contenuta in "Lavorare Stanca" di Cesare Pavese)
Pavese, pensavo a te mentre vagabondavo davanti al negozio di birre.
Tenevo stretto il cappello contro il vento di fine estate e cercavo i miei ricordi per strada. Niente, non c'era niente. Così ho smesso di cercare, ho comprato una confezione di birra. Ne ho aperta una e poi un'altra e mentre bevevo riflettevo sull'inganno.
La parte complicata viene dopo.
Vidi il sole svanire, insieme alla birra. Non c'era luna.
Bruciavo così nella notte, le luci delle navi sempre più distanti.
Partivo anch'io, con una nave che mi avrebbe portato da Genova a Porto Torres.
Ho finito la birra e sono andato verso il porto.
Anche se il vento cesserà,
e la luna tornerà presto,
come fa tutte le sere,
io sono qui, in viaggio,
e voglio provarci ancora.

 

 

 

 

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